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lunedì 5 ottobre 2015

Missione umana su Marte, come proteggere l'equipaggio dalle radiazioni, by NASA!

(Credit NASA/Viking 1)

NEWS SPAZIO :- La NASA sta cavalcando parecchio l'onda mediatica dell'uscita del film "The Martian", a cui avevo dedicato un post qualche mese fa.
Nella storia, l'habitat su Marte protegge gli astronauti e le loro apparecchiature dalle pericolose radiazioni. E questo è effettivamente uno dei due grossi problemi da risolvere per mandare esseri umani sul Pianeta Rosso, in sicurezza intendo (l'altro è la prolungata condizione di microgravità in cui si vengono a trovare per lungo tempo gli astronauti in missione).

Approfondiamo quindi questo primo aspetto e vediamo a cosa sta lavorando la NASA per risolvere il problema delle radiazioni.



Anni di ricerca spaziale hanno permesso di accumulare preziosa conoscenza e molta esperienza sull'ambiente spaziale e sappiamo con grande accuratezza quelli che sono i pericoli per gli esseri umani che si avventurano nel cosmo.

Ruthan Lewis (architetto ed ingegnere, human spaceflight program al NASA Goddard Space Flight Center, Greenbelt, Maryland): "Le radiazioni nell'ambiente spaziale saranno una considerazione critica per ogni cosa nella vita di ogni giorno negli astronauti, sia nel viaggio tra la Terra e Marte che sulla superficie. Sei costantemente bombardato da una certa quantità di radiazioni".

Sappiamo tutti cosa sono le radiazioni, flussi di particelle subatomiche dotate di energia. Quando entrano in collisione con la materia (un astronauta, la sua tuta spaziale, un veicolo spaziale) le trasferiscono la loro energia. Il pericolo maggiore per gli esseri umani è che le particelle energetiche attraversano la pelle e depositano la loro energia all'interno delle cellule, danneggiandone il DNA durante il loro passaggio. E questo porta ad un aumento del rischio di contrarre un cancro più avanti negli anni oppure se il flusso è intenso anche quello di ammalarsi durante la missione.

Per noi sulla Terra vi è una protezione naturale che blocca la maggior parte di queste particelle. Si tratta di una grande bolla magnetica che circonda il nostro Pianeta, la magnetosfera, che deflette la gran parte delle radiazioni provenienti dallo spazio.
A ciò si aggiunge un secondo livello di difesa, la nostra atmosfera, la quale assorbe la maggior parte delle particelle che riescono a superare la magnetosfera.

Anche l'orbita della Stazione Spaziale Internazionale è all'interno della magnetosfera e per le particelle più energetiche vi sono ambienti rinforzati in cui gli astronauti possono trovare rifugio.

Ma un viaggio su Marte è tutto un'altra storia. L'equipaggio non può contare sulla magnetosfera Terrestre e tanto meno una volta raggiunto il Pianeta Rosso sulla sua atmosfera. Una missione su Marte significa mandare esseri umani nello spazio interplanetario per almeno un anno, per la stragrande maggioranza del tempo esposti al duro ambiente radioattivo dello spazio.
Inoltre Marte non ha un proprio campo magnetico globale in grado di deflettere le particelle energetiche e la sua atmosfera è densa solamente l'1% rispetto a quella Terrestre.

Gli astronauti devono quindi essere costantemente protetti, e due sono le sorgenti fondamentali di radiazioni.
La prima proviene dal Sole, che regolarmente rilascia un flusso costante di particelle solari. Inoltre, particolari eventi che possiamo paragonare a gigantesche esplosioni di particelle fanno anch'essi la loro parte. Tra questi vi sono i brillamenti solari e le CMS (Coronal Mass Ejections).
Queste particelle energetiche sono per la maggior parte protoni e sebbene il Sole ne rilasci una quantità impressionante, la loro energia è tale da poter essere facilmente schermata dalla struttura del veicolo spaziale.

L'attività Solare contribuisce fortemente alle radiazioni presenti nell'ambiente spaziale, quindi è necessaria una migliore comprensione di tale attività, proprio per essere in grado di prendere migliori decisioni in fase di pianificazione di una missione su Marte.
La NASA ha una flotta di veicoli spaziali che studiano costantemente la nostra stella. Le osservazioni per quest'area di ricerca denominata Eliofisica ci aiutano a comprendere le origini delle eruzioni solari ed il loro effetto che tali eventi hanno sull'ambiente radioattivo spaziale.

La seconda sorgente di particelle spaziali è più difficile da schermare. Si tratta dei raggi cosmici galattici (GCR, Galactic Cosmic Rays). Sono particelle accelerate quasi alla velocità della luce che vengono "sparate" nel nostro sistema solare e che provengono sia da altre stelle nella nostra Galassia che da ancora più lontano, da altre galassie.
Tali particelle sono prevalentemente protoni, ma alcune di queste sono elementi più pesanti (ed esempio l'elio).
Queste particelle, molto più energetiche, possono rompere gli atomi della materia con cui collidono (ad esempio le pareti metalliche di un veicolo spaziale) e generare un nuovo flusso di particelle subatomiche che entrano all'interno della struttura, detta radiazione secondaria. E quest'ultima può raggiungere livelli molto pericolosi per noi esseri umani.

Ci sono due modi per proteggerci da queste particelle ad altissima energia e dalla radiazione secondaria: (1) usare molta più massa per realizzare lo scafo, oppure (2) usare materiali più efficienti per schermare le radiazioni.

Un maggior volume avrebbe la capacità di assorbire di più, ma ciò implica avere anche una maggiore massa, con costi proibitivi per la messa in orbita. Sono quindi allo studio materiali più efficienti, un'importante area di ricerca in cui la NASA è impegnata da tempo.

Un elemento che blocca bene sia protoni che neutroni (simili tra loro come dimensioni) è l'idrogeno, che tra l'altro è l'elemento più abbondante nell'universo e che fa parte di molti "composti" abbastanza comuni, come l'acqua e le plastiche, ad esempio il polietilene.

Quindi, una possibilità potrebbe essere quella di utilizzare come protezione una parte della massa che "fa già parte" di una missione, ad esempio processando i rifiuti degli astronauti per riempire mattonelle di plastica da usare per rafforzare la protezione del veicolo spaziale.
Un altro scenario potrebbe riguardare l'acqua che l'equipaggio dovrà portarsi durante il viaggio. Questa potrebbe essere stivata opportunamente, proprio per creare una protezione dalle radiazioni. Ciò però necessiterebbe di una opportuna strategia che consenta di poter usare tale acqua e di sostituirla con - magari - acqua riciclata prodotta dal supporto vitale dell'astronave.

Il polietilene, la stessa plastica delle bottigliette d'acqua e dei sacchetti della spesa, è un buon candidato per la protezione dalle radiazioni spaziali. Contiene molto idrogeno ed è piuttosto economico da produrre. Il suo problema però è che non è robusto a sufficienza per costruire grandi strutture, specialmente un veicolo spaziale che durante il lancio deve resistere a forti sollecitazioni termiche e meccaniche.
Ed aggiungere polietilene ad una struttura metallica vorrebbe dire avere maggiore massa da lanciare.

C'è un particolare materiale che è oggetto di studio e di sviluppo da parte della NASA che sembra essere molto promettente. E' basato su nanotubi di nitruro di boro idrogenato (BNNT idrogenato). Si tratta di nanotubi composti da carbonio, boro ed azoto, con idrogeno in tutti gli intervalli vuoti  presenti tra i nanotubi. Tra l'altro il boro è anche un ottimo "assorbitore" di neutroni secondari.
Il BNNT è molto resistente anche alle grandi temperature, e questo le rende un ottimo materiale per realizzare le strutture dei veicoli spaziali".
Sorprendentemente i ricercatori sono riusciti a realizzare anche un filato di BNNT, abbastanza flessibile da poter essere tessuto nelle tute spaziali. E ciò darebbe protezione anche durante le attività sulla superficie di Marte, o in EVA durante il viaggio.
BNNT è un materiale nuovo, attualmente in fase di sviluppo e test, ma ha le potenzialità di diventare un elemento fondamentale per la protezione di veicoli spaziali, habitat e tute che useremo su Marte.

C'è un'altra area di studio per le protezioni da radiazioni. Gli scienziati stanno esplorando anche la possibilità di creare cambi di forza. Ok, suona molto da film di fantascienza, ma al pari del campo magnetico Terrestre che ci protegge dalle particelle energetiche, un campo elettrico/magnetico abbastanza piccolo e localizzato potrebbe creare una bolla protettiva intorno ad un'astronave o ad un habitat sul suolo di Marte.
La ricerca è in corso. Al momento realizzare un tale campo di forza richiederebbe un'enorme e proibitiva quantità di energia e di materiale strutturale.

Si può anche lavorare a livello di corpo umano, come approccio aggiuntivo alla mitigazione del rischio indotto dalle radiazioni. E' ancora molto presto per averne un riscontro pratico, ma sono allo studio possibili medicinali che possano controbilanciare ed annullare in parte o completamente gli effetti negativi prodotti dall'esposizione a radiazioni.

Insomma, la ricerca continua!

Fonte dati, NASA.

11 commenti:

  1. Sicuramente molto interessante e promettente il BNNT idrogenato, od eventuali altri nuovi materiali realizzati in questo modo, cose concrete, fattibili esistenti e perfettibili.

    Attivare una bolla protettiva permanente attorno alla nave spaziale sarebbe una gran bella soluzione, lo pensavo anch'io prima di arrivare in fondo all'articolo, come forza protettiva primaria, ma non unica.
    E' possibile riuscirci senza ricorrere ad una imponente e pressochè irrealizzabile forza, c'è un barlume di possibilità in un prevedibile futuro, oppure è "forzatamente" destinata a rimanere solo una pia speranza?

    Cosa bolle nella pentola, nella fucina dei fisici?

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  2. Sergio grazie per il post, molto interessante.

    Volevo parlarne piu approfonditamente:

    Abbiamo questi pezzi:
    -Orion
    -Modulo di discesa su Marte
    -Modulo abitativo
    -Modulo magazzino
    -Modulo Motore e carburante

    La Nave Spaziale, perchè cosi si chiamerebbe a quel punto, verrebbe lanciata direttamente assemblata.

    Come mai invece non andiamo a fare un bel lavoro di assemblaggio orbitale?

    Vi spiego come lo vedo nella mia visione:

    Primo lancio:
    Orion ed il Modulo di discesa collegato con il team del viaggio si attracca alla ISS, tutti in fermento per le operazioni che presto dovranno compiere, tra briefing e ripasso delle procedure.

    Secondo lancio:
    Modulo Abitativo MOLTO PESANTE per via delle protezioni dalle radiazioni installate MA LANCIABILE perchè da solo e teleguidato (senza motore lander eccetera) arriva in prossimità della ISS.
    Orion col Lander si staccano dal Dock della ISS e vengono fissate al Canadarm2 o dal braccio robotico europeo lasciando il Portello della Orion libero per attraccarsi a UNO DEI DUE Portelli all'estremità del Modulo Abitativo in arrivo, e si collegano.

    Terzo lancio:
    Modulo Magazzino teleguidato Protetto dalle radiazioni dall'involucro d'acqua che trasporta, e molto pesante arriva alla ISS e attracca al Portello libero del Modulo Abitativo. Ha due portelli anche questo.

    Quarto lancio:
    Modulo motore e carburante teleguidato attracca al Portello libero Del modulo magazzino

    Appena si apre la finestra di lancio la Nave Spaziale viene sganciata dal braccio robotico, si allontana dalla ISS e si prepara all'accensione del motore e ....

    PARTENZA!!!!

    Protetti, carichi di provviste e via verso Marte.




    Che ne pensi Sergio?
    E voi altri?

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    1. Bella storia, ma poi deve atterrare tutto insieme e sarà anche poca la gravità ma abbiamo visto che non è poi così facile.

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    2. Ma che risposta è ? Mi sà che non hai capito

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    3. Io trovo che l'idea di assemblare, in orbita, moduli prefabbricati a Terra, sia buona e ragionevole, mi piace, l'avevo espressa vagamente anch'io nel passato (era un mio pensiero del momento, non ispirato da letture di testi altrui).
      Però penso che se adesso tu Marco desideri davvero che qualcuno di noi semplici lettori, possa esprimere un giudizio sulla fattibilità od opportunità di questa tua proposta più articolata, sarebbe necessario prima rivedere il testo che così com'è composto, a me che sono duro di comprendonio, appare non facilissimo da seguire senza perder troppo tempo e soprattutto affiancarla da grafici e disegni, disegni da postare altrove se qui non è possibile nel castello di Sergio.

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    4. Marco,
      è certamente interessante l'idea di assemblare in orbita componenti inviati in più lanci. Se ne parla da tanto tempo... un utilizzo della ISS potrebbe essere anche quello di un hangar proprio per questi compiti. C'è una letteratura tecnica molto vasta, così come sono molteplici i vari profili di missione per un viaggio su Marte.
      Per confrontarli si dovrebbe anndare molto più in dettaglio.
      Tieni conto che NASA andrà su Marte con Orion e SLS, o meglio questa è la promessa.
      Se si vuole velocizzare la cosa due sono gli aspetti da inserire nell'equazione: collaborazione internazionale e privati. Anche Il il Falcon Heavy di SpaceX porta con sé molte promesse.
      Ma ricordati che, come descritto in questo post, per Marte occorre ancora fare tanta ricerca.

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  3. Interessante il BNNT idrogenato ma la tecnologia dello scudo di forza mi sembra ancora tutta da inventare e testare.
    Se fosse pratico ed agevole avere a disposizione una fonte di energia in grado di generarlo forse sarebbe più conveniente utilizzarla per alimentare un motore VASIMIR in grado di dimezzare i tempi di viaggio e quindi di conseguenza i tempi di esposizione alle radiazioni.

    Ramiro

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  4. Sergio, mi sapresti dire perché l'apostrofo viene rappresentato con il codice HTML numerico decimale nella colonna Commenti Recenti e se c'è un modo per impedire questa perdurante babilonia disinformatica?

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    1. Claudio, utilizzo un gadget standard di Blogger che legge il feed RSS... è un po' tutta la piattaforma che non si decide a fare un salto di qualità.

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  5. Che sadico pensiero mi è passato per la mente sollecitato dal "occorre ancora fare tanta ricerca" di Sergio.
    Me ne vergogno!

    Siamo proprio certi che le varie radiazioni presenti nello spazio tra la Terra e Marte, quindi fuori dalla bolla protettiva siano così dannose per l'uomo durante una permanenza di alcuni mesi, un paio d'anni o giú di li?
    Per darci una risposta scientifica ragionevolmente sicura si potrebbe allestire un esperimento con pochi animali, un mini zoo da inviare temporaneamente da qualche parte in orbita lontano dalla Terra oppure sulla Luna, ad esempio con delle scimmie e poi riportarle a Terra per vedere cosa è cambiato in loro dopo un tempo sufficientemente lungo.
    Qui lo dico e qui lo nego.
    Uno scimpanzè è meglio di me.

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  6. Molto,molto interessante: per esperienza personale un gran numero di persona pensa che una missione umana su Marte non presenti tutte le difficoltà, ancora lungi dall'essere risolte,che invece l'articolo chiaramente evidenzia.

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